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Castigo senza delitto. Il “caso 8 dicembre” in Francia.

Castigo senza delitto. Il “caso 8 dicembre” in Francia.

Sono tante le parole nuove che abbiamo imparato a conoscere, a volte anche malvolentieri, da quando l’informatica ha invaso la nostra vita. Alcune sono più facili da “digerire” altre meno e tra le seconde c’è quasi sicuramente il termine “crittografia” e tutti i suoi derivati e questo nonostante riguardi un argomento tra i più importanti, soprattutto rispetto alla riservatezza e alla sicurezza della comunicazione digitale. La ragione principale alla base della difficoltà di comprensione è che la “crittografia” si basa su teoremi e formule matematiche in grado di far venire un mal di testa anche agli specialisti. Ma la sua importanza è dimostrata dal fatto che anche senza conoscerne il funzionamento la usiamo quotidianamente (quasi sempre a nostra insaputa) quando accediamo alla posta elettronica, quando ci colleghiamo a un sito nel quale inseriamo i nostri dati, quando compriamo qualcosa su Internet, ma anche quando mandiamo un semplice messaggio tramite il telefonino.

La premessa era necessaria per introdurre una vicenda iniziata da qualche anno e conosciuta in Francia come “il caso 8 dicembre”. Si tratta di una indagine su alcuni attivisti di area libertaria accusati di “cospirazione criminale terroristica” e parte di questi andranno a processo nel prossimo mese di ottobre. Tutto è iniziato nel 2018 quando la “Direzione Generale della Sicurezza Interna” (DGSI) ha messo sotto sorveglianza alcune persone andate in Rojava per combattere tra le milizie curde delle YPG contro DAESH. L’8 dicembre del 2020 sono state effettuate una serie di perquisizioni e 9 arresti in varie località francesi: due persone sono state liberate (senza accuse) dopo pochi giorni e altre sono state poste agli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico. Nei mesi successivi vengono fatti altri arresti e altre scarcerazioni, ma uno dei primi arrestati viene rinchiuso in regime di isolamento. Una tortura che durerà dall’11 dicembre 2020 al 7 aprile 2022 quando verrà trasferito in ospedale a causa dello sciopero della fame che aveva iniziato per protestare contro le sue condizioni di detenzione. Nello scorso mese di aprile un tribunale ha condannato l’amministrazione statale al risarcimento del detenuto avendo giudicato il suo trattamento illegale.

La storia, molto più dettagliata, si può leggere (in francese) per esempio sul sito [https://soutien812.net/] dove vengono messi in evidenza alcuni aspetti della vicenda che vale la pena di far conoscere.

Il primo è che agli imputati non viene contestato alcun atto specifico di terrorismo, ma solo di aver costituito una fantomatica associazione finalizzata a compiere attentati, una aberrazione giuridica possibile grazie a una legge approvata in Francia nel 1996 subito dopo una serie di attentati attribuiti al GIA (Gruppo Islamico Armato).

Il secondo, e qui torniamo al tema iniziale, riguarda il fatto che nei documenti dell’inchiesta sul “caso 8 dicembre”, oltre a non comparire prove o segnalazioni riguardanti reati specifici, vengono addebitate alle persone accusate quasi esclusivamente determinati comportamenti riguardanti il loro modo di utilizzare la comunicazione elettronica.

Gli spioni della DGSI, nella loro richiesta per l’avvio di una inchiesta giudiziaria scrivevano, a proposito dei sospetti: “tutti adottano un comportamento clandestino, tramite mezzi di comunicazione che usano la crittografia, sistemi operativi tipo Tails e il protocollo TOR che permette di navigare sul web in modo anonimo” (traduzione automatica). Frasi del genere ricorrono, copiate e incollate, numerose volte negli atti dell’inchiesta.

Allo stesso modo il Giudice Istruttore riteneva che: “tutti si mostravano particolarmente sospettosi e comunicavano fra di loro solo tramite applicazioni crittate, in particolare Signal e avevano anche crittografato il contenuto dei loro supporti informatici” (traduzione automatica).

Come già hanno notato alcuni di quelli che hanno letto gli atti del procedimento molte delle descrizioni degli strumenti utilizzati dagli accusati, contengono una serie di errori tecnici, alcuni piccoli altri davvero enormi. Per esempio accusare qualcuno di avere un supporto cifrato è ridicolo se si pensa che oggi la quasi totalità dei telefoni cellulari ha, già appena uscito di fabbrica, i dati protetti da algoritmi crittografici. Ancora più ridicolo considerare come “sospetta” un’applicazione come “Signal”, un programma di messaggistica che nel 2020 la Commissione della UE ha consigliato di installare sul proprio cellulare a tutti i suoi dipendenti.

Sembra chiaro che l’accusa di usare degli strumenti per la protezione della comunicazione costituisce come minimo un alibi (alquanto patetico) per gli investigatori al fine di giustificare il fatto che non sono riusciti a trovare reati da addebitare agli indagati e tantomeno le relative prove.

Come è evidente siamo oltre qualsiasi delirio orwelliano in quanto, in mancanza di un “delitto” e quindi di almeno qualcosa che colleghi gli imputati a fatti concreti, il meglio che riescono a fare gli inquisitori francesi è processare un gruppo di persone in quanto si comportavano in “modo sospettoso” o “paranoico” e soprattutto considerare l’uso della crittografia come una indicazione che caratterizzerebbe senza ombra di dubbio un’associazione clandestina terrorista.

Questo “teorema” ha anche dei risvolti che in altri contesti sarebbero comici in quanto, in una precedente inchiesta (conosciuta come il caso “Tarnac”) sempre a carico di attivisti francesi, famosa perché conclusa (dopo 10 anni) con un buco nell’acqua, alcuni imputati erano stati ritenuti sospetti in quanto non (NON) possedevano un telefono cellulare. Il che dimostra quanto dietro certe indagini ci sia esclusivamente una più che evidente persecuzione politica contro chi non accetta lo stato di cose presenti.

Questa storia è grave non solo perché avviene in un paese di quelli che si sono sempre vantati di avere una legislazione democratica e persino più garantista di altri, ma anche perché coinvolge tutte le persone che usano quotidianamente applicazioni, sistemi operativi e protocolli che si basano sulla crittografia. Persone che fanno questo per garantire la sicurezza e la riservatezza delle proprie comunicazioni, un diritto che non dovrebbe essere messo in discussione nemmeno da un tribunale.

Una eventuale condanna degli attivisti coinvolti nell’inchiesta “8 dicembre” rappresenterebbe un fatto di una estrema gravità oltre che un pericoloso precedente, non solo a livello francese, per chiunque provi a non subire passivamente il controllo derivato dall’applicazione dell’informatica nella vita quotidiana.

Ancora oggi la maggior parte delle persone, ma anche la maggior parte dei compagni e delle compagne, si preoccupano davvero poco, o per niente, della sicurezza e della riservatezza dei propri dati personali e delle proprie comunicazioni. Certamente non si tratta di un argomento facile da affrontare, ma nemmeno così difficile come si potrebbe credere e limitarsi a una opposizione di principio contro la tecnologia non impedirà certo a chi detiene il potere di utilizzarla, soprattutto contro di noi.

Pepsy

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